giovedì 18 ottobre 2012

indole

ventesimo giorno di naftalina, ma sto ricominciando a scrivere sul giornale. ancora due settimane e tornerò a regime. è difficile riabituarsi a una quotidianità così aperta, una pagina bianca senza margini, in cui decidi tu cosa mettere e quando, l'importante è che a sera tutto sia fatto. mi accorgo di distrarmi, di perdermi un po' via, di cedere a tratti ai richiami languidi dell'acquolina, di vivere da discreto incosciente il fatto che, ciccio, per l'ennesima volta stai ripartendo da capo, e un po' ne saresti anche stufo.
mi accorgo che l'innata pigrizia ha resistito ai ritmi da miniera dei mesi di redazione, che l'indole indolente sgomita da là sotto, lotta con le motivazioni e chissà chi vincerà.
oltretutto mancano quattro esami alla fine, uno solo bello tosto: stavolta ce la devo fare. in attesa che altre prospettive di lavoro serie spuntino da chissà dove: ché anche a cercarle, ora come ora, si nascondono bene.

(poi trovi commenti come quello al post qua sotto, e improvvisamente ti ricordi la sensazione unica di quando scopri un nuovo contatto. un nuovo lettore che, per giunta, istintivamente t'intriga, e quando ricambi la visita scopri che ti riguarda. ti accorgi che hai tentato mille volte di ribloggare proprio per questo: dialogare con gente interessante, che ti suggerisce feeling. forse, stavolta, missione compiuta: è l'essenza del blog. scrivere per se stessi è un esercizio piuttosto assurdo, a pensarci).

lunedì 1 ottobre 2012

viavai

oggi è il primo giorno senza lavoro, with the ass on the floor. dopo un anno e due mesi passati e goduti in redazione, a ritmi nippo e orari medievali. oggi devo ricominciare a pensare a cosa fare, visto che neanche questa è andata. oggi per fortuna non sono solo in questi pensieri, e come ha giustamente osservato c., per l'occasione in versione cupido, il cambio lavoro-morosa non è poi così male: diciamo che per una cosa importante andata ce n'è una arrivata.
oggi, comunque, mi sento meglio di come immaginassi e peggio di come vorrei. non sono tipo da lamentele pubbliche, infatti non mi lamento. e poi sapevo che poteva finire così. non credo che potessi fare qualcosa di diverso: non per cambiare la storia.
oggi sono solo stanco, perchè sono 14 mesi che non vivo una giornata a ritmi cristiani: tutto questo è stato bello, ma anche faticoso. oggi ho deciso che non avrei fatto niente di niente, perchè ho bisogno di riposare corpo e testa, prima di capire cosa fare.
l'unica altra meta che mi sono dato, oggi, è fare un altro passo avanti con chi è arrivato.

sabato 15 settembre 2012

sorella

ho appena letto questo post e ho pensato alla mia, di sorella. abbiamo undici anni di differenza e pochissime cose in comune, oltre al cognome. credo che ci vogliamo bene, però non ci comportiamo come fratelli. non ci parliamo se non per facezie obbligate, e comunque al massimo a bisillabi. non ci messaggiamo mai. non m'importa dove sia e cosa faccia e con chi, non mi manca se non la vedo o non la sento.
sono stato, sono e probabilmente sarò un pessimo fratello maggiore. non le ho insegnato niente, non l'ho mai difesa, l'ho fatta giocare pochissimo, non l'ho mai coccolata. l'unico consiglio che credo di averle dato (azzeccato, però) è stato sull'università da scegliere. è che proprio per me sta in un altro mondo.
mi dispiace, naturalmente, 'sta cosa. vedo intorno a me famiglie e fratelli bellissimi, e io non ho tutta questa attenzione ai familiari. mi spiace, solo che non so cosa farci. non ho voglia di fare il primo passo, me lo impediscono tante cose tra cui l'orgoglio, e non è neanche il motivo principale. con lei mi sento molto lucy rispetto a linus.
ho sempre pensato che la colpa sia molto mia, ma un po' anche no. un po' è anche dei miei genitori, che quand'era piccola praticamente non me la lasciavano neanche sfiorare. può un fratello appassionarsi a qualcosa di intoccabile? non potevo prenderla in braccio, per dire. detto così, adesso, sembra folle, anzi lo è: ma era proprio così. lì, penso, dentro di me s'è formata l'ambivalenza del sentimento: ok, ci sei, però ti sto lontano.
poi, vabè, se l'è cavata meglio di me in tante cose, quasi tutte. se penso che volevo un fratellino, mi dico che è stato meglio così: il confronto con un maschio sarebbe stato ancora più impietoso...

sabato 1 settembre 2012

martini

sono convinto che la morte non sia una cosa brutta in assoluto: lo è solo per chi resta, perché lascia vuoti, solitudini, domande, ed esige un'accettazione razionale non facile. chi muore, puff, non c'è più: finiti i problemi, finiti gli affanni, finita la meravigliosa pochezza della dimensione umana. mi fa più paura la sofferenza fisica della morte: l'ho provata nel mio piccolo, so cos'è, fa impazzire.
tutto questo sto pensando mentre saluto carlo maria martini, il mio cardinale, come don mario è stato il mio parroco e wojtyla il mio papa. senza conoscermi mi ha saputo toccare corde, ha saputo parlare alla mia anima non conformista e un po' luterana. con le sue proposte nuove, ha saputo cogliere l'ansia di capire dei giovani. a lui sono legati i ricordi del nostro gruppo: la scuola della parola, la lettura dei suoi testi, con federica, francesco e tutti gli altri.
ho amato la sua schiettezza, ho sperato che diventasse papa: quando hanno eletto il superconservatore ratzinger ho pensato che fosse troppo avanti perchè accadesse, non immaginavo che in realtà fosse anche così malato.
sfogliando le gallerie fotografiche della sua grande stagione a milano ho provato lo stesso magone e sentito gli stessi occhi lucidi di quando rivedo giovanni paolo. quella milano in bianco e nero, non ancora ripiegata su se stessa e insofferente. quella gente non ancora chiusa e diffidente. quella semplicità che, da sola, è stata la sua cifra di testimonianza. quella cultura che, da sola, spiega come e perchè ha parlato a così tanta gente. cercava i lontani e fu contestato dai vicini, che egoisticamente non capivano: stupide gelosie.

martedì 21 agosto 2012

canicola

la canicola è una metafora? forse sì. devi centellinare le risorse: o puoi sbracare. devi sudare (letteralmente) per fare qualunque cosa, anche pensare e basta: o rinunci e non vivi. devi scegliere il percorso con più ombra, benché più lungo: o ti cuoci. devi badare a te stesso e al contempo essere incurante di te stesso. insomma, fa riflettere: sopravvivere alla canicola è un po' come sopravvivere tout court, sopportare gli altri casini di qualunque tipo. però mi domando: com'è che venti-trent'anni fa non avevamo i condizionatori e ce la cavavamo lo stesso?

martedì 14 agosto 2012

rientro

tutte le sere del mondo svolto dalla provinciale, destra-destra-sinistra-sinistra, prendo il telecomando e apro il cancello, metto la macchina in garage e salgo in casa. tutte le sere del mondo mi chiudo la porta alle spalle, quattro giri di chiave, sbuffo tutta la stanchezza che ho dentro, svuoto le tasche, mi spoglio e indosso la tenuta casalinga fantozziana, mutande ascellari, maglietta vintage e rutto libero. e lì, nel momento in cui godo la fine delle incombenze della giornata, tutte le sere del mondo, senza eccezioni, mi maledico perchè mi accorgo di aver lasciato il cellulare giù in macchina.

venerdì 10 agosto 2012

gettoni

non so se avete notato, ma stanno sparendo le cabine telefoniche. tolgono quelle per strada e ne lasciano solo poche in stazioni, aeroporti, ospedali. tutti abbiamo il cellulare, le cabine non servono più, anzi non rendono più.
ognuno di noi ha mille ricordi dei telefoni pubblici. i gettoni, brutti e marroni, da cambiare al bar. la caccia alla cabina meno soleggiata: erano saune vere, altrimenti. l'esaurimento del credito scandito dai rintocchi nella cornetta. parlare in fretta per non sprecare un attimo. la coda fuori, se di cabina ce n'è una sola e l'impellenza è di tanti, pure scocciati. le rubriche attaccate sotto il telefono, in balia di vandali e buontemponi. l'insegna tonda e gialla con la cornetta stilizzata fuori dai locali.
nei miei ricordi di ragazzino la cabina è quella della piazza del paese, per rintracciare qualche amico che si era dato alla macchia. è quella del mare sardo, perennemente al sole, tanto che andavo a telefonare alla sera per sapere se la morosa, a casa, stava bene: e volavano schede da cinquemila lire ogni volta, spiccioli spesi benissimo. è quella delle poste in montagna, sotto un portico buio, squadrato e spoglio, dove tentai invano di convincere una morosa successiva a venire su in treno o in pullman (altre cinquemila a botta: e non venne, mai capito perchè). è quella del palaghiaccio, da dove dettavo freneticamente gli articoli di hockey ai dimafoni (esistevano ancora: ormai si sono estinti pure loro) alle undici passate di sera, sballottato tra la gente che sciamava fuori dopo la partita. è quella della stazione, "papà ho perso l'ultimo pullman mi vieni a prendere?", quando tornavo dall'università e il treno tardava quei due minuti fatali.
e le vostre cabine, quali sono?