sabato 1 settembre 2012

martini

sono convinto che la morte non sia una cosa brutta in assoluto: lo è solo per chi resta, perché lascia vuoti, solitudini, domande, ed esige un'accettazione razionale non facile. chi muore, puff, non c'è più: finiti i problemi, finiti gli affanni, finita la meravigliosa pochezza della dimensione umana. mi fa più paura la sofferenza fisica della morte: l'ho provata nel mio piccolo, so cos'è, fa impazzire.
tutto questo sto pensando mentre saluto carlo maria martini, il mio cardinale, come don mario è stato il mio parroco e wojtyla il mio papa. senza conoscermi mi ha saputo toccare corde, ha saputo parlare alla mia anima non conformista e un po' luterana. con le sue proposte nuove, ha saputo cogliere l'ansia di capire dei giovani. a lui sono legati i ricordi del nostro gruppo: la scuola della parola, la lettura dei suoi testi, con federica, francesco e tutti gli altri.
ho amato la sua schiettezza, ho sperato che diventasse papa: quando hanno eletto il superconservatore ratzinger ho pensato che fosse troppo avanti perchè accadesse, non immaginavo che in realtà fosse anche così malato.
sfogliando le gallerie fotografiche della sua grande stagione a milano ho provato lo stesso magone e sentito gli stessi occhi lucidi di quando rivedo giovanni paolo. quella milano in bianco e nero, non ancora ripiegata su se stessa e insofferente. quella gente non ancora chiusa e diffidente. quella semplicità che, da sola, è stata la sua cifra di testimonianza. quella cultura che, da sola, spiega come e perchè ha parlato a così tanta gente. cercava i lontani e fu contestato dai vicini, che egoisticamente non capivano: stupide gelosie.

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